La riforma del Catasto può far triplicare Imi e Tasi nelle grandi città
La qualità dei rapporti tra Roma e Bruxelles sul dossier conti pubblici è ben misurata dall’intemerata di sei ambasciatori presso l’Unione Europea. Germania, Finlandia, Danimarca, Austria, Regno Unito e Svezia hanno infatti chiesto di mantenere un’aliquota di cofinanziamento nazionale, fissata al 10%, per gli 1,2 miliardi di fondi che saranno assegnati al nostro Paese per la ricostruzione post-terremoto. Su questo tema — scrive il Giornale — dovrà pronunciarsi il Parlamento europeo ed è facile sin da oggi immaginare il disappunto del presidente Antonio Tajani che si è impegnato per lo stanziamento. La domanda che ci si pone da quasi tre mesi è sempre la solita: quanto pagheremo sotto forma di nuove tasse? Per rispondere, allora, non bisogna guardare a quello 0,2% di Pil da recuperare per mettersi in regola con l’Ue, ma al Def da varare entro il 10 aprile. Il governo conta di chiudere la «manovrina» con 800 milioni di tagli ai ministeri e un paio di miliardi di recupero di evasione Iva attraverso un’estensione dello split payment (da concordare con la Commissione Ue) con la Pa che trattiene direttamente l’Iva dovuta dai suoi fornitori. In questo caso il discorso relativo a un incremento delle accise, che ad aprile sarebbe limitato ai soli tabacchi (ove occorressero 500 milioni per giungere all’obiettivo), potrebbe essere addirittura rinviato. Nel Def – cui si accompagnerà il Programma nazionale di riforma (Pnr) – si apriranno scenari completamente diversi. Come noto, il punto di partenza sono i 25 miliardi di euro di base della legge di Bilancio 2018 dei quali 20 miliardi sono destinati al congelamento delle clausole di salvaguardia su Iva e accise. Come anticipato dal Giornale due settimane fa, al centro del Pnr ci sarà la riforma del Catasto basata sui metri quadri al posto dei vani e, soprattutto sull’aggiornamento delle rendite sulla base del valore di mercato. Una mazzata che nelle grandi città potrebbe far triplicare Imu e Tasi e, nonostante due anni fa fosse prevista l’invarianza di gettito, l’ex premier la bloccò proprio per i negativi effetti che avrebbe potuto avere sul consenso popolare.
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